13 giugno 2000
INDICE
* PREMESSA
* CRONOLOGIA DELLE
DUE GUERRE IN CECENIA - 1989/2000
* PARTE I - I PERCHE'
DELLA GUERRA
o L'EREDITA' DI ELTSIN
o DOPO LA PRIMA GUERRA
o LA GUERRIGLIA E LE BANDE ARMATE
o LA "GUERRA SANTA" DELL'ISLAM IN CECENIA
o LA LOTTA PER L'UNITA' DELLA RUSSIA
o QUANTO SANGUE COSTA UN LITRO DI BENZINA ?
o UNA GUERRA SU MISURA
* PARTE II -
VIAGGIO IN CECENIA
o ARRIVO IN RUSSIA
o DA MOSCA AL CAUCASO
o LE CONDIZIONI DEI PROFUGHI
o I RACCONTI DEI PROFUGHI
o GROZNY
o LA SITUAZIONE ATTUALE
o Le Nazioni Unite
o Gli osservatori internazionali.
o I mezzi di informazione
o Crimini di
guerra
o LE PROSPETTIVE
* PARTE III - UNO
SGUARDO ALL'ITALIA - CONSIDERAZIONI PERSONALI
* APPENDICE FONTI,
DOCUMENTI E ARTICOLI UTILIZZATI PER QUESTO DOSSIER
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PREMESSA
Quando ho iniziato la realizzazione di
questo dossier, la mia intenzione era semplicemente quella di denunciare la
violenza subita dalla popolazione civile della Cecenia e la nostra indifferenza
di fronte a questa violenza, ma andando piu' a fondo
nei complessi meccanismi della guerra in Cecenia mi sono reso conto che la mia
denuncia, per risultare credibile, avrebbe dovuto prendere in considerazione
anche i "perche'" e non solo i
"come" della guerra. La realta' in cui mi
ero immerso era molto piu' complicata di quanto credessi, e per fare ordine in questa complessita'
si e' fatto strada in me il bisogno di un'analisi di tipo storico e politico.
Parlare solo dei profughi, senza interrogarmi sulla storia del loro esodo e
sulle scelte politiche che hanno trascinato migliaia di persone in una guerra
che non hanno voluto, mi e' sembrato uno sterile atto di pietismo che non
consente una vera rimozione delle cause di questo conflitto che ancora oggi
continua a mietere vittime.
Purtoppo credo che ogni analisi storica e
politica risenta inevitabilmente della percezione
della storia e della politica di chi la scrive, e il mio timore e' stato quello
di realizzare un documento che potessere essere
giudicato come un documento "di parte" e non sufficientemente
obiettivo. Consapevole di questo rischio, ho cercato di
realizzare il dossier sulla Cecenia cercando di dividere nettamente la mia
analisi politica dalla mia esperienza concreta, le cose che ho visto e sentito
dall'interpretazione che ne ho dato a posteriori, i fatti oggettivi dalle
opinioni personali. Nell'era dell'informazione globale
di fronte ad ogni guerra c'e' bisogno anche di buon giornalismo, di qualcuno
che si chieda perche' la guerra accade anziche' descrivere semplicemente la cronaca di guerra
presentando una serie di fatti slegati tra loro. E' per
questo che non sono riuscito a raccontare semplicemente come stanno i
profughi o cosa fanno i russi, ma ho sentito l'esigenza di capire perche' i profughi stanno cosi' e
perche' i russi hanno scatenato questa guerra.
Quello che state per leggere e' il
frutto delle mie notti insonni passate a scartabellare appunti durante il mio
soggiorno in Caucaso, mentre cercavo di esorcizzare l' angoscia e l'impotenza
davanti all'insensatezza della guerra cercando di capire, facendo domande,
incrociando le informazioni di articoli e comunicati, rileggendo gli appunti
presi durante il giorno nei campi profughi e nel corso degli incontri con gli
operatori umanitari. Con quello che ho scritto tuttavia non pretendo
assolutamente ne' di aver fatto necessariamente del
buon giornalismo, ne' di dare risposte definitive o interpretazioni universali.
Entrando nel cuore di una guerra ho imparato a diffidare di chi pretende di
spiegarti un conflitto con una cartina, un righello, una mappa geopolitica e
qualche brillante considerazione. La prima cosa da capire di una guerra e' che
non si riuscira' mai a capirla fino in fondo. Cio' nonostante, spero che con tutti i limiti congeniti
alla nascita di questo dossier la mia esperienza e le
mie riflessioni possano essere utili a tutti coloro che vorranno avvicinarsi ai
problemi della Cecenia e del Caucaso, se non altro per iniziare a maturare dei
dubbi, delle domande e delle curiosita', ingredienti
indispensabili per comprendere davvero qualsiasi vicenda umana.
Carlo Gubitosa
CRONOLOGIA DELLE DUE GUERRE IN CECENIA - 1989/2000
A cura di Carlo Gubitosa. Per le
fonti utilizzate si rimanda all'appendice.
1989-1991 Con la caduta del muro di Berlino, inizia un
processo di disgregazione dell'Unione Sovietica. Diversi territori dell'Unione
proclamano la loro indipendenza e l'autonomia dal governo centrale di Mosca.
Il 23 novembre 1990 iniziano in Cecenia i lavori di una
conferenza nazionale. La conferenza si svolge nella capitale cecena, Grozny, dove si riunisce un gruppo di delegati in
rappresentanza di tutti i gruppi etnici della Cecenia. Al termine
dell'incontro, il 25 novembre del '90, i delegati della conferenza proclamano
la separazione della Cecenia dall'Unione Sovietica, con una "dichiarazione
di indipendenza e sovranita'"
ratificata all'unanimita' dal parlamento della
Repubblica Cecena il 27 novembre dello stesso anno.
Nell'agosto del 1991, Dzokar Dudayev, un ex generale dell'aviazione sovietica, sale al
comando della Cecenia grazie ad un colpo di stato. Il 27 ottobre la conquista
del potere da parte di Dudayev viene
ufficializzata da un referendum con cui il popolo ceceno approva la
dichiarazione di indipendenza del novembre '90 e assegna a Dudayev
la presidenza della Repubblica Indipendente Cecena
con l'84% dei voti. Il 2 novembre il parlamento sovietico dichiara illegale
l'elezione di Dudayev.
Alla mezzanotte del 31 dicembre 1992 l'Unione Sovietica si
scioglie ufficialmente. Il 13 marzo '93 viene firmato
il trattato che stabilisce la nascita della Repubblica Federale Russa. La
Cecenia rifiuta l'appartenenza alla Federazione Russa e decide di non firmare
il trattato.
Il 2 aprile '93 il presidente Dudayev
scioglie il parlamento, accentrando tutto il potere nelle sue mani. Si cerca di
promuovere un referendum per dare ai ceceni la possibilita'
di esprimersi sul "potere unico" del presidente, ma Dudayev stronca sul nascere il tentativo del referendum con
l'intervento dei carri armati. Nei mesi seguenti la tensione in Cecenia cresce
notevolmente, con un'escalation di violenza tra le forze fedeli al presidente Dudayev e quelle contrarie al suo potere. Da Mosca iniziano
ad arrivare i primi segni di insofferenza.
Il 9 dicembre '94 il presidente Boris Eltsin autorizza un intervento armato contro la Cecenia, e l'11 dicembre i
carri armati della Federazione Russa iniziano la loro avanzata verso
Grozny. Vengono impiegati 40.000 soldati, appoggiati
da aerei ed elicotteri. Il 19 gennaio '95 l'esercito russo entra a Grozny
conquistando il palazzo presidenziale. La citta' viene brutalmente devastata, con migliaia di vittime tra la
popolazione civile. A maggio i vertici militari russi dichiarano di aver
conquistato le citta' principali e 2/3 del territorio
ceceno. Cio' nonostante, nei mesi successivi inizia
una delle piu' grandi sconfitte nella storia militare
della Russia.
Gli attacchi dei ceceni costringono al ritiro le truppe
della federazione, che cercano un accordo con i guerriglieri. Il generale russo Aleksandr Lebed si incontra a Khasavjurt,
in Daghestan, con Aslan Maskhadov,
portavoce della repubblica Cecena, per la firma di un
accordo di pace. Maskhadov, ex capo di stato maggiore del'esercito
ceceno, verra' eletto presidente il 27 gennaio '97,
prendendo il posto di Dudayev, ucciso il 21
aprile '96 nel corso di un attacco aereo, e sostituito da Zelimkhan
Iandarbev fino all'elezione di Maskhadov.
Il 27 agosto 1996 la firma dell'accordo di
pace pone fine al primo sanguinoso conflitto tra la Cecenia e la
Federazione Russa, una guerra durata 21 mesi e pagata con la vita di piu' del 10% della popolazione cecena
e di circa 70 mila soldati russi.
L'accordo di pace dell'agosto '96 non e' tuttavia
sufficiente per risolvere definitivamente la questione cecena.
il testo firmato a Khasavjurt
da Lebed e Maskhadov
prevede semplicemente un periodo di 5 anni per definire lo statuto della
Cecenia, e le posizioni delle due parti in conflitto rimangono inconciliabili
Mosca continua a non riconoscere la sovranita' della
Cecenia e gli indipendentisti, in virtu' del loro
parziale successo militare contro le truppe della Federazione Russa, sono
sempre piu' decisi nei loro propositi di distacco
dalla federazione.
Nei mesi successivi all'accordo di pace la violenza in
Cecenia non accenna a diminuire, a causa della crescente attivita'
di alcune fazioni estremiste dell'esercito.
Nell'estate del 1998 queste tensioni esplodono in una vera e propria battaglia
tra le truppe regolari e i gruppi armati legati al fondamentalismo
islamico. L'esercito regolare riesce ad avere la meglio, e il presidente Maskhadov annuncia di voler imporre forti restrizioni sulle
attivita' delle milizie estremiste, ma pochi giorni
dopo viene ferito in un attentato dove perdono la vita
le sue guardie del corpo.
L'8 agosto '99 le milizie di Shamil
Bassaev invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno
"stato islamico" attraverso un raid militare. Costretti in un primo
momento a ritirarsi, gli uomini di Bassaev compiono un altro fallimentare
tentativo a settembre. Nell'autunno del '99 le citta'
di Mosca, Volgodonsk, Buinaksk
e Vladikavkaz sono sconvolte da una serie di attentati dinamitardi nel corso dei quali perdono la vita
circa 300 persone. Le esplosioni vengono
immediatamente attribuite a "terroristi ceceni".
Il 23 settembre '99 la Russia da'
il via ad una nuova campagna militare contro la Cecenia,
con una serie di attacchi aerei. Il primo ottobre le truppe russe entrano nel
territorio ceceno, e il 16 dello stesso mese inizia
l'avanzata verso Grozny. Il 23 ottobre le truppe russe
chiudono la frontiera tra la Cecenia e l'Inguscezia, negando ai profughi l'unica via d'uscita.
A novembre gli Stati Uniti accusano la Russia di violazione
delle convenzioni di Ginevra, e in autunno anche Amnesty International pubblica un
rapporto sulla situazione in Cecenia, in cui si
richiede "che il governo russo rispetti il diritto internazionale
umanitario in materia di protezione di civili durante conflitti armati".
Il 6 dicembre '99 Boris Eltsin lancia un ultimatum agli abitanti di Grozny
hanno a disposizione cinque giorni di tempo per evacuare la citta'. Il 18 dicembre le truppe russe entrano a Grozny, e la citta' si trasforma
in un enorme campo di battaglia. Una lunga serie di raid aerei riduce la citta' a un cumulo di macerie.
Durante i bombardamenti su Grozny, mentre migliaia di
vittime civili vengono colpite senza pieta', l'Italia ratifica, con le leggi 398 e 397 del '99,
due accordi firmati nel 1996 in merito alla cooperazione militare con la
Russia.
Dal 31 marzo al 4 aprile 2000 Mary Robinson,
Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, visita l'Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia, e il 5 aprile, al termine della sua visita
presenta un rapporto dettagliato alla commissione delle Nazioni Unite per i
Diritti Umani, in cui vengono descritte testimonianze
oculari di omicidi di massa, bombardamenti di colonne di profughi e altre
palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie della Federazione
Russa. Nel rapporto vengono segnalate anche le
violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie cecene
ai danni della popolazione civile durante l'invasione del Daghestan.
PARTE I - I PERCHE' DELLA GUERRA
L'EREDITA' DI ELTSIN
Per comprendere pienamente il contesto
sociale e politico che fa da sfondo alla seconda guerra in Cecenia
e' necessario innanzitutto allargare l'orizzonte a tutta la Federazione Russa e
all'eredita' politica lasciata al paese da Boris Eltsin
e dal suo clan.
La costituzione adottata dalla Federazione Russa nel 1993,
con un referendum definito truccato da molti osservatori, ha fatto da cornice
legale ad un potere autoritario e centralistico,
concentrando tutti i poteri nelle mani del presidente. In
base a questa costituzione l'attivita' del
Parlamento e' fortemente condizionata dalla minaccia permanente di un possibile
scioglimento da parte del presidente, e la stabilita'
del governo, anch'esso nominato direttamente dal presidente, e' direttamente
proporzionale alla sua docilita'.
Il forte accentramento dei poteri nelle mani dell'entourage
presidenziale e' stato il terreno fertile in cui si e' sviluppata la corruzione
e il malgoverno di questa "democrazia di carta", dove i diritti dei
cittadini sono perfettamente tutelati sulle carte dei documenti ufficiali, ma
allo stesso tempo questi diritti faticano a trovare una realizzazione
pratica da parte delle istituzioni. Ai diritti di carta non corrispondono dei
diritti concreti, applicati nella vita quotidiana delle persone a tutela dei
cittadini.
Un'altra delle conseguenze di questa politica centralista e accentratrice e' stata la
"privatizzazione" dell'economia, intesa come gestione privata e personalistica da parte del presidente delle attivita' economiche del Paese, una gestione spesso mirata
alla conquista di benefici personali o all'accrescimento del potere politico.
Interi settori dell'economia e del commercio interno ed
estero sono stati concessi a gruppi locali di potere
distribuiti su base territoriale, in cambio del loro appoggio politico. Nella
regione del Caucaso questo sistema di gestione delle attivita' economiche ha fatto si'
che i vertici del Cremlino, in cambio del sostegno al
loro potere, chiudessero un occhio sulle attivita'
illecite dei clan locali, che in virtu' del loro
appoggio politico potevano liberamente spartirsi le attivita'
economiche piu' redditizie (banche, petrolio, armi,
droga, caviale, alcol, tabacco). Questo "patto dannato" tra i
notabili di Mosca e i gruppi di potere locali ha
provocato una progressiva perdita di potere e autorita'
delle istituzioni federali e locali, che diventavano sempre piu'
incapaci di imporre l'efettiva applicazione delle
leggi.
A fare le spese di questa illegalita' diffusa sono stati soprattutto gli strati piu' deboli della popolazione, esclusi dal colossale giro
di affari che legava il mondo politico ai gruppi di potere locali. L'assenza di ordine e di controllo, la mancanza di legalita'
e il banditismo diffuso hanno portato nel breve periodo dei benefici economici
per una parte ristretta della popolazione legata ai traffici dei clan locali,
ma nel lungo periodo questa "assenza di stato" e di giustizia ha
inasprito le tensioni economiche e sociali, esponendo i giovani alle tentazioni
del nazionalismo o dell'integralismo islamico, che per molte persone
rappresentano tuttora una delle poche risposte concrete al crescente disagio
sociale e al bisogno di stabilita'.
Va sottolineato che il fenomeno del
banditismo, l'affermarsi della legge del piu' forte
al di sopra delle leggi federali, l'aumento della delinquenza e dei traffici
illeciti non sono fenomeni ristretti alla sola Cecenia
o al Caucaso, ma sono ormai un male diffuso in tutto il territorio della
Federazione, un male che in Caucaso e in Cecenia si
e' purtroppo espresso in forma cronica. La seconda guerra in Cecenia affonda profondamente le sue radici in questo
sistema e nell'assenza di uno stato di diritto e di una legalita'
che siano all'altezza dei principi democratici
stabiliti sulla carta. Da parte loro, i governi occidentali hanno rifiutato
sistematicamente di prendere in considerazione qualsiasi informazione sul
livello di corruzione e illegalita' della societa' russa. Il caso piu' eclatante e' forse
quello di un rapporto della Central Intelligence Agency (CIA) rispedito bruscamente al mittente dal
vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore.
DOPO LA PRIMA GUERRA
Dopo aver analizzato il contesto
politico, legale e sociale della Federazione Russa, alla luce delle strategie
adottate dal clan di Boris Eltsin, e' necessario
capire quali sono state le particolari condizioni che in Cecenia
hanno aggiunto al disagio e all'illegalita', presenti
anche negli altri territori della federazione, l'esplosione di un violento
conflitto armato. Le origini della colossale ondata di violenza che ha
devastato la Cecenia sono molteplici, e sarebbe
semplicistico ridurre un problema cosi' complesso ad una "guerra partigiana" per la
rivendicazione dell'indipendenza e dell'autonomia di un territorio. Gli
interessi legati a questa guerra hanno davvero ben poco a che vedere con la
lotta per la liberta'.
La II guerra in Cecenia e' un
intreccio complesso di molteplici tensioni che attraversano tutto
il Caucaso, e che in Cecenia hanno trovato un
punto di convergenza e di coagulazione, esplodendo in forma violenta. In base
ai documenti che ho esaminato, ai colloqui effettuati con gli operatori
umanitari coinvolti nell'emergenza cecena e in base
alle esperienze personali vissute a Mosca, in Cecenia
e in Inguscezia, ho individuato cinque fattori che, a
mio giudizio, sono stati gli "ingredienti" esplosivi che miscelandosi
tra loro hanno provocato in Cecenia l'esplosione di
questo conflitto tremendo e sanguinoso. Queste componenti
del conflitto possono essere descritte brevemente come l'affermarsi in
territorio ceceno del potere delle bande armate, la
crescente influenza del fondamentalismo islamico
nella regione, l'importanza strategica del Caucaso per la Russia, i forti
interessi economici legati al transito del petrolio negli oleodotti, la necessita' di creare un "nemico esterno" per
affermare con il pugno di ferro l'autorita' del
potere centrale di Mosca e dell'"uomo forte" chiamato alla guida del
paese.
LA GUERRIGLIA E LE BANDE ARMATE
Per capire l'effettiva natura dei gruppi armati della Cecenia e il loro ruolo nell'esplosione della guerra
bisogna fare un passo indietro fino al termine della I guerra
in Cecenia, il 27 agosto del 1996. In questa data il
generale russo Aleksandr Lebed incontra Aslan Maskhadov per la firma dell'accordo di pace che pone fine
alla guerra 1994/96. Maskhadov incontra Lebed in qualita' di
rappresentante della Cecenia su mandato di Zelimkhan Iandarbev, che aveva sostituito il presidente Djokhar
Dudaev ucciso il 21/4/96 nel corso di un attacco
aereo.
Nei mesi che vanno dalla firma dell'accordo di pace
all'elezione di Maskhadov come presidente della Cecenia l'assetto politico e militare del paese si delinea chiaramente. Ogni fazione dell'esercito
sfrutta a proprio beneficio l'assenza di una autorita' in grado di mantenere il controllo della
situazione, e in attesa delle elezioni presidenziali ognuno prende per se' tutto il potere che riesce a conquistare.
L'esercito si spacca in una moltitudine di piccole bande
armate, che rappresentano gli interessi del proprio
capobanda anziche' quelli della popolazione. In
questa galassia di fazioni militari, nate dalla frammentazione dell'esercito,
si possono distinguere tre componenti gruppi moderati
sinceramente indipendentisti, legati alla figura di Maskhadov,
bande armate che nascondono dietro la lotta per l'indipendenza i loro traffici
criminali e mafiosi (i cui proventi finiscono in gran parte a Mosca), milizie
legate al fondamentalismo islamico e guidate da Shamil Bassaev, Amir Khattab e altri leader.
Saranno proprio le componenti
islamica e banditesca dell'esercito ad impedire la stabilizzazione della Cecenia, e a preparare il terreno di illegalita'
e violenza che Mosca ha "seminato" in seguito a suon di bombe. Il
27/1/97, quando Maskhadov viene
eletto presidente della Cecenia, ormai i giochi sono
fatti le bande armate hanno gia' affermato il loro
potere su tutto il territorio ceceno, e stabilito le
loro rispettive zone di influenza.
Anche dopo la sua elezione Maskhadov
puo' fare
ben poco per modificare questi equilibri di forze, stretto tra le aspre
critiche dei moderati, che gli rimproverano la sua mancanza di intransigenza
contro le forze estremiste dell'esercito, e l'impraticabilita'
di uno scontro frontale contro queste forze.
Nell'estate del 1998 queste tensioni esplodono in una vera e
propria battaglia. L'esercito ufficiale ceceno riesce
ad avere la meglio sui gruppi armati islamici, e il presidente Maskhadov annuncia di voler imporre forti restrizioni sulle
attivita' di questi gruppi, ma pochi giorni dopo viene ferito in un attentato dove perdono la vita le sue
guardie del corpo, ed e' costretto a ridimensionare i suoi propositi di
opposizione contro le fazioni estremiste dell'esercito.
A partire dalla firma dell'accordo di pace del 1996 gli interessi delle bande armate cecene si scontrano con quelli di Mosca, che vorrebbe
affidare il controllo delle attivita' in Cecenia ai propri uomini di fiducia. Man mano che i gruppi
militari ceceni diventano sempre piu'
potenti, questo conflitto di interessi continua a
inasprirsi.
Uno dei fattori che ha contribuito all'esplosione della
violenza in Cecenia e'
proprio questa macroscopica "guerra tra gang" dove la posta in gioco
nello scontro tra bande e' il controllo delle attivita'
economiche e commerciali di una intera regione geografica. La popolazione civile e' stata solo una pedina sacrificabile di
questo scontro, schiacciata in mezzo a sporchi giochi di potere. In questa
chiave di lettura i traffici illeciti delle fazioni estremiste dell'esercito ceceno hanno rappresentato un vero e proprio tradimento di
quello spirito indipendentista che ha animato molti giovani guerriglieri nella
guerra 1994/96, uno spirito strumentalizzato dai capibanda dei gruppi armati
per raggiungere obiettivi che non hanno niente a che vedere con la liberta', l'indipendenza e la tutela della popolazione cecena. Questi assassini travestiti da partigiani non si
sono fermati nemmeno davanti alla prospettiva di un nuovo e sanguinoso
conflitto pur di salvaguardare a tutti i costi i
propri interessi. Il protrarsi di una situazione di conflitto armato in Cecenia torna a tutto vantaggio di questi "signori
della guerra", che riescono a gestire con piu' facilita' i loro traffici, disponendo di
un potere vessatorio che utilizzano a danno delle popolazioni inermi.
LA "GUERRA SANTA" DELL'ISLAM IN CECENIA
Oltre alla violenza delle bande
armate e delle fazioni estremiste dell'esercito, un'altra causa della guerra e'
legata al fondamentalismo islamico, una potente
benzina che in Cecenia alimenta costantemente il
fuoco della violenza. In Cecenia e nel vicino
Daghestan sono molte le organizzazioni politiche e i
gruppi armati che fanno riferimento all'Islam; il gruppo fondamentalista
che negli ultimi anni ha acquisito la piu' grande
potenza economica e militare nella zona del Caucaso e' quello degli "wahhabiti", che devono il loro nome alla setta
islamica puritana della penisola arabica fondata nel XVIII secolo dal
predicatore Mohamad Ibn Abdelwahhab. I wahhabiti del 2000
sono dei gruppi armati che hanno tra i loro leader Shamil
Bassaev e Amir Khattab, due capi militari che dietro il loro fondamentalismo religioso nascondono interessi
inconfessabili legati ad attivita' illecite. Khattab, dopo un periodo trascorso in Afghanistan, approda
in Cecenia negli ultimi mesi della prima guerra, e
inizia a reclutare il suo esercito personale di milizie islamiche, che al
termine della guerra diventera' una delle fazioni piu' potenti
delle forze armate.
Bassaev inizia la sua carriera militare nel
1992, quando l'Abkhazia da' il via ad una guerra di indipendenza contro la Georgia. Dopo la guerra diventa
addirittura vice-ministro della difesa di Abkhazia, presumibilmente grazie ad una collaborazione con
il GRU (Glavnoe Rasvedivatelnoe
Upravlenie), il servizio segreto militare russo. I
rapporti tra Bassaev e il Gru
sono stati ampiamente documentati nella ricostruzione della guerra in Abkhazia fatta nel febbraio 2000 da Piotr
Prianishinikov, sul settimanale "Versija".
Le "relazioni pericolose" di Bassaev
includono anche esponenti di spicco del mondo dell'alta
finanza di Mosca, come ad esempio Boris Berezovski,
finanziere vicino alla famiglia Eltsin, che ha
pubblicamente ammesso di aver elargito dei finanziamenti a Bassaev
per le sue attivita'. Bassaev,
Khattab e le loro milizie islamiche ricevono fondi
dall'Afghanistan, dal Pakistan e da organizzazioni clandestine del medio
oriente, ma altri finanziamenti ai gruppi armati wahhabiti
arrivano anche da Mosca.
Bassaev ha piu'
volte invocato la "jihad", la guerra santa
islamica, come soluzione definitiva ai problemi della Cecenia
e del Caucaso in generale, facendo leva sugli strati piu' deboli della popolazione. Molti giovani ceceni sono stati attratti dalle seduzioni del fondamentalismo islamico e hanno cercato nell'Islam, oltre
al loro stipendio di soldati, quell'ordine, quella stabilita' e quella sicurezza che non riuscivano a trovare
altrove, senza sapere che i loro stessi comandanti avrebbero contribuito
all'esplosione di una nuova guerra, strumentalizzando
la loro aspirazione a migliori condizioni di vita e distruggendo il loro sogno
di una societa' piu' giusta
e pacifica retta dalla "sharia", la legge
islamica.
Nell'estate del 1999 Bassaev e Khattab danno il via ad una campagna militare in grande stile, un raid sul Daghestan
fallimentare, insensato e provocatorio, compiuto all'insaputa e senza il
consenso del Presidente Maskhadov. Per incoscienza o
per calcolo, le milizie islamiche regalano a Vladimir Putin
un ottimo pretesto per stringere ancora una volta il pugno di ferro della
Federazione Russa attorno alla Cecenia.
E' importante chiarire che le truppe islamiche di Bassaev e Khattab non sono affatto
dei gruppi di partigiani che lottano per la liberta'
e l'indipendenza dei ceceni. Si tratta invece di una
ristretta minoranza all'interno del paese, una minoranza purtroppo molto
potente e ben armata, che non rappresenta assolutamente ne' la
popolazione della Cecenia ne' l'esercito regolare,
che si e' trovato a dover combattere suo malgrado una guerra provocata da
altri.
L'8 agosto 1999 Bassaev
e Khattab, alla testa del loro esercito, invadono la
repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno
"stato islamico" nei territori di frontiera tra Cecenia
e Daghestan, un obiettivo che non ha nulla a che
vedere con la tutela della popolazione cecena o con
l'affermazione della sua indipendenza, ma che riguarda unicamente le mire
espansionistiche e la sete di potere dei fondamentalisti
islamici.
Dopo un primo tentativo, fallito per l'opposizione della
popolazione locale all'invasione islamica, la "guerra santa" riparte
a settembre, e anche il secondo tentativo fallisce miseramente.
Il primo ottobre le truppe russe entrano in Cecenia per dare il via, con il pretesto della "lotta
al terrorismo", ad un folle massacro di civili inermi.
LA LOTTA PER L'UNITA' DELLA RUSSIA
Un'altra delle partite attualmente
in gioco sulla scacchiera del Caucaso e' quella per la repressione delle velleita' separatiste in Cecenia
e in altre regioni della Russia. Dopo la disgregazione
dell'Unione Sovietica, anche nella Federazione Russa iniziano a manifestarsi i
sintomi di una possibile frammentazione, che i vertici del Cremlino
stanno cercando di impedire con tutti i mezzi a loro disposizione, in nome
dell'unita' della "Grande Russia".
Per la Russia perdere il controllo sulla Cecenia
non significherebbe solamente rinunciare ad un territorio di grandissima
importanza strategica, ma sarebbe anche un pericoloso precedente, un
"cattivo esempio" per altre regioni che potrebbero decidere di
seguire le orme della Cecenia avviandosi verso il
separatismo, l'autonomia e il distacco dalla Federazione.
Un taglio netto del cordone ombelicale che lega la Cecenia alla Russia potrebbe scatenare una reazione a
catena, alimentando le velleita' separatiste di
territori islamici come il Tatarstan, il Bashkortostan e il Daghestan, o
di zone buddiste come la Kalmukkia e la Burjatia.
La guerra in Cecenia e' stata
anche questo uno straordinario "collante" che ha scongiurato,
o piu' probabilmente solo rimandato, il pericolo
della disgregazione di una federazione corrosa al suo interno dal malgoverno,
dalla corruzione e dalla criminalita'.
QUANTO SANGUE COSTA UN LITRO DI BENZINA ?
La guerra in Cecenia e' stata
anche una guerra per il controllo delle "vie del petrolio" nel Caucaso, una guerra con cui la Russia ha voluto
rispondere all'"affronto geopolitico"
rappresentato dalla recente costruzione di nuovi oleodotti che consentirebbero
dei "percorsi alternativi" per il trasporto del greggio dal mar Caspio al Mediterraneo.
Il transito del petrolio e del gas naturale che viaggiano
dal Caspio per raggiungere
l'Europa e' stato da sempre in mano alle grandi compagnie petrolifere della
Russia, grazie al controllo dell'oleodotto che collega Baku,
citta' situata in Azerbaigian sulle rive del Caspio, a Novorossijsk, che si
affaccia sul mar Nero.
Fino a pochi mesi fa questa
"pipeline", rimessa in funzione nel novembre 1997 dopo un compromesso
con le autorita' cecene,
era l'unica via di transito per il petrolio e il gas naturale, e garantiva alla
Russia un monopolio di fatto nel settore energetico, che costituisce il 23%
delle esportazioni e il 12% del prodotto interno lordo della federazione.
Il 17 aprile 1999 l'apertura di un nuovo oleodotto ha
modificato radicalmente l'equilibrio geopolitico
della zona, creando una nuova via di transito per le risorse energetiche, un
percorso che attraversa territori autonomi al di fuori della Federazione, su
cui la Russia non ha un controllo diretto. Questa nuova "pipeline",
che parte da Baku per raggiungere Supsa,
porto della Georgia sulle rive del mar Nero, ha di fatto
aperto una prima breccia nel monopolio russo. Oltre ad avere una valenza
economica e geopolitica, questa nuova "via del petrolio" ha anche una
forte valenza militare, poiche' l'oleodotto Baku-Supsa rientra di fatto nel
sistema di sicurezza Nato, grazie ad una alleanza militare regionale tra
Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, i cosiddetti "stati del
GUAM", dal nome delle iniziali dei paesi. Questi stati hanno richiesto una
stretta cooperazione con la Nato, che ha accolto
favorevolmente la proposta di un intervento nella zona per difendere il nuovo
oleodotto, dal momento che i paesi dell'alleanza atlantica avrebbero tutto
l'interesse ad estromettere la Federazione Russa dal giro di affari legato al
transito del petrolio e del gas naturale.
L'oleodotto Baku-Supsa non e'
l'unica minaccia agli interessi della Russia nel settore energetico. Nel novembre 1999 Turchia, Azerbaigian e Georgia hanno annunciato
la firma di un accordo per la costruzione di una "via turca" del
petrolio, che in futuro dovrebbe collegare Baku al
porto turco di Ceyhan, che affaccia direttamente sul mediterraneo.
Anche questo oleodotto sarebbe automaticamente
collocato nel sistema di sicurezza della Nato, e i consorzi che presiedono alla
sua realizzazione hanno previsto investimenti per 7 miliardi di dollari.
L'elenco dei principali finanziatori del progetto comprende,
oltre ai governi della Turchia e dell'Azerbaigian, anche Eni, Chevron, Shell e Unocal. Tra le cause del secondo
conflitto in Cecenia c'e' anche lo scontro tra gli
interessi della Russia e quelli delle potenze occidentali che si sono unite
agli stati del GUAM per il controllo del transito del petrolio. In
questo scontro la Cecenia e' un territorio di
fondamentale importanza strategica, situato su uno degli snodi chiave della
linea Baku-Novorossijsk, un punto di passaggio che la
Russia non puo' permettersi assolutamente di perdere
se vuole restare in gara per la supremazia nel settore energetico.
La prima risposta della Russia all'affronto geopolitico rappresentato dai nuovi oleodotti e' stata
questa campagna militare che ha sottomesso con la forza un "pezzo di oleodotto" che minacciava di andarsene per conto
proprio. Un'altra risposta alle nuove rotte del petrolio che aggirano
la Russia a sud sara' probabilmente il completamento
di un nuovo oleodotto russo, la cui costruzione e' iniziata nel maggio 1999,
che trasportera' fino a Novorossijsk
il petrolio estratto in Kazakistan sul lago Tenghiz.
UNA GUERRA SU MISURA
L'aspetto piu' inquietante di questa guerra e' la possibilita'
che l'offensiva scatenata contro la Cecenia sia stata
una forma perversa di "campagna elettorale", progettata freddamente a
tavolino e costruita sulla pelle di migliaia di civili, per creare attorno a
Vladimir Putin, uomo di fiducia di Eltsin, il consenso di cui aveva bisogno per conquistare la
presidenza della Federazione.
Oltre allo sconfinamento in Daghestan
delle milizie islamiche, un altro pretesto con cui si e' cercato di legittimare
la seconda guerra in Cecenia e' stata la "lotta
al terrorismo" intrapresa dalla Russia nell'autunno '99, in seguito alla
serie di attentati dinamitardi che ha causato circa
300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk, Vladikavkaz e Buinasks.
E' opinione diffusa che questa serie di attentati,
e il conseguente bombardamento della Cecenia, possano
far parte di una "strategia della tensione" russa con la quale il
clan di Boris Eltsin ha cercato a tutti i costi di
conservare il potere. La guerra in Cecenia nata dalla
lotta al terrorismo potrebbe essere un conflitto contro un nemico esterno
creato ad arte per distogliere l'attenzione da altri gravi problemi che
affliggono la federazione instabilita', assenza di ordine, corruzione.
L'improvvisa ascesa della popolarita'
di Putin, che si e' posto davanti agli elettori come
l'"uomo forte" in grado di mantenere l'unita' della federazione e di
reprimere il terrorismo, potrebbe essere proprio la diretta conseguenza della
creazione artificiosa di questo "nemico esterno" che ha risvegliato
nella popolazione il desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine
e la giustizia con il pugno di ferro.
In questo processo anche i mezzi di informazione
russi hanno giocato un ruolo fondamentale. La campagna militare contro la Cecenia e' stata
accompagnata da una campagna di disinformazione altrettanto massiccia e
sistematica, che ha portato alle stelle il consenso verso le "maniere
forti" di Putin alimentando l'odio e la paura
dei russi nei confronti dei ceceni, dipinti come una
popolazione composta unicamente da criminali e terroristi spietati. In un
rapporto dell'autunno '99 Amnesty International
ha espresso la sua preoccupazione perche' la risposta
del governo russo agli attentati dinamitardi "sembra essere una campagna
per punire un intero gruppo etnico"
"Dite all'Italia che non siamo dei terroristi".
Parlando con i profughi ceceni ammassati nei campi
dell'Inguscezia ho sentito questa frase molte volte,
e ogni volta ho ripetuto che fortunatamente l'equazione "ceceno uguale terrorista" non era ancora radicata
nell'opinione pubblica italiana.
Purtroppo in Russia questa campagna di criminalizzazione
mediatica ha avuto un pieno successo. La protesta
contro la seconda guerra in Cecenia e' stata molto piu' debole della protesta contro il primo intervento
armato, in occasione del quale una larghissima fetta dell'opinione pubblica
aveva manifestato la sua disapprovazione verso la guerra. Questo effetto e' dovuto anche e soprattutto all'azione dei mezzi di
informazione, a cui e' mancata la capacita' o la volonta' di distinguere tra la popolazione cecena nella sua interezza e una minoranza di gruppi armati
e terroristici
Per quanto riguarda l'ondata di attentati
terroristici che ha fatto da preludio alla guerra, allo stato attuale delle
cose non ci sono prove che questi attentati siano stati organizzati ad arte per
favoorire l'ascesa di un potere autoritario. E' un
dato di fatto, tuttavia, che Vladimir Putin ha
indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio lo stato d'animo creato
nell'opinione pubblica dalle esplosioni terroristiche, indipendentemente da chi
abbia commissionato e progettato queste esplosioni.
Anche se non si dispone ancora di prove
incontrovertibili, esistono tuttavia alcuni elementi degni di essere presi in
considerazione per capire meglio il collegamento tra gli atti terroristici
dell'autunno '99 e la guerra in Cecenia.
Il 29 ottobre '99 David Satter,
membro dello Hudson Institute
e della Scuola di studi internazionali avanzati della John
Hopkins University, in un articolo apparso sul
"Washington Times" affermava che "via via che l'investigazione procede, la possibilita'
che le esplosioni siano state pianificate da elementi della leadership russa
diventa piu' plausibile". A gennaio del 2000 il
giornale inglese "The Independent" ha
pubblicato inoltre la confessione di Aleksei Galtin, un ufficiale del Gru
secondo il quale il servizio segreto militare russo sarebbe coinvolto negli
attentati terroristici dell'autunno '99.
Un altro indizio inquietante e' contenuto in un articolo di
Giulietto Chiesa pubblicato su "la rivista del manifesto" nel numero di maggio 2000. Secondo la ricostruzione fatta da
Chiesa tutti gli attentati dinamitardi sarebbero stati effettuati
utilizzando exogene, un esplosivo impiegato dalle
forze armate russe per la nuova generazione di proiettili d'artiglieria.
Gli investigatori hanno affermato che per ogni bomba era stata
utilizzata una quantita' di exogene variabile tra i 200 e i 300 chili. Oltre alle
quattro esplosioni effettivamente avvenute, le autorita'
russe hanno dichiarato di aver scongiurato
l'esplosione di altre cinque bombe. Risulta quindi che
gli attentatori avrebbero utilizzato almeno 1800 chili di exogene,
un esplosivo che in Russia si produce unicamente nella fabbrica di Perm, situata negli Urali.
Come abbia fatto un gruppo di terroristi ceceni
a trafugare 18 quintali di esplosivo da una fabbrica
top secret e a portare tranquillamente in giro per varie citta'
della Russia tutto questo esplosivo, rimane tuttora un mistero.
Molti esponenti di ONG e
organizzazioni umanitarie con cui ho parlato durante il mio soggiorno in Russia
e in Cecenia mi hanno confermato la possibilita' che la serie di attentati dell'autunno '99 sia
stata una provocazione realizzata da persone estranee alla guerriglia cecena.
Ho avuto inoltre la possibilita'
di esaminare un rapporto interno di una organizzazione
non governativa, che evito di nominare per ragioni di sicurezza e di tutela
delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto testualmente che "ci sono
alcune prove circostanziali del coinvolgimento dei servizi segreti russi
nell'organizzazione degli attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone".
Questi sospetti, condivisi da numerosi giornalisti e
analisti politici, sono diffusi anche tra la gente comune. Commentando questo
insieme di indizi che collegano gli attentati
dinamitardi ai servizi segreti russi, Giulietto Chiesa ha rilevato che
"forse si e' trattato di una coincidenza. Ma se
e' stato cosi', si deve dire che e' stata una
coincidenza davvero fantastica. Forse non e' stata una coincidenza, e allora
bisogna tenersi forte, perche' gente che si spinge fino a questi lidi e' capace di
compiere ogni crimine, perfino quelli che l'uomo comune non e' in grado nemmeno
di immaginare".
Nel frattempo le indagini per individuare i responsabili
degli attentati sono a un punto morto. A mesi di
distanza dalle esplosioni, non si sa neppure se le autorita'
di Perm hanno ritenuto opportuno aprire un'inchiesta
nei confronti dei responsabili della fabbrica di exogene. La Russia, intanto, sembra avviata ad un ingresso
trionfale nell'Unione Europea. Mentre scrivo queste righe
Vladimir Putin e' stato ricevuto con tutti gli onori
dal Vaticano e al Quirinale, e la cooperazione
economica e militare tra l'Italia e la Russia va a gonfie vele. In occasione
della visita di Putin in Italia, Don Renato Sacco,
consigliere nazionale di "Pax Christi" e
parroco di tre paesini della provincia di Verbania,
ha indirizzato una lettera alle massime autorita'
dello stato denunciando "chi ha fatto della guerra in Cecenia
il suo trampolino di lancio politico, interno e internazionale, e ora viene ricevuto a Roma con tutti gli onori". Nella sua
lettera Don Renato ha proposto inoltre che fossimo
invitati anche noi all'incontro con Putin, in quanto
"unica presenza italiana" in Cecenia.
In effetti, un incontro diretto con Putin
e Ciampi forse sarebbe un onore troppo grosso per me,
e confesso che avrei un certa perplessita'
a partecipare a questo incontro, soprattutto se l'etichetta diplomatica mi
imponesse di stringere delle mani sporcate col sangue di migliaia di vittime
civili. Per il momento, come ricompensa da parte dello stato per la mia
presenza in Cecenia mi
accontento delle seimila lire al giorno che mi spettano come paga in quanto
obiettore di coscienza.
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